
COMUNICAZIONE E MALAVITA
Il linguaggio in codice…
aumenta il senso di appartenenza a specifiche organizzazioni, come quelle della malavita il cui scopo è creare un sistema di comunicazione che permetta di governare e di trasmettere valori, schemi mentali e tradizioni alle generazioni in tutta segretezza.
Il codice
Un codice verbale tramandato da uomo d’onore a uomo d’onore durante il “battesimo”, un codice ricco di gestualità, ritualistica, simboli e anche di silenzi.
La mafia parla anche attraverso il silenzio tant’è vero che:
“A megghiu parola è chidda chi un si dice”
La terminologia è retorica
Utilizzano termini non diretti e per niente trasparenti, impliciti che lasciano intravvedere significati traducibili solo a chi appartiene all’organizzazione, alla famiglia.
Il linguaggio come strumento di identificazione di gruppo
Tale linguaggio non serve solo a trasferire informazioni ma va oltre, arriva fino ad essere uno strumento di identificazione di gruppo. Le parole vengono adattate alla cerchia, e solo chi ne è membro è capace di comprendere il vero significato ed è quindi capace di interagire con gli altri componenti del gruppo perchè conosce bene i modelli culturali legati alla lingua.
Il linguaggio alla base del mafioso
Un linguaggio ambiguo, criptico, metaforico, allusivo e codificato che è alla base della identità del mafioso, il quale si riconosce parte di un “noi” e non agisce mai solo per sè stesso ma per il gruppo, per onorare la famiglia.
Riceve un soprannome che risalta i suoi tratti peculiari, caratteriali o riferito ad un difetto fisico come ad esempio “u curtu” riferito a Totò Riina perché di statura bassa, lo rende riconoscibile all’interno dell’organizzazione e, allo stesso tempo, irriconoscibile all’esterno per le forze dell’ordine.
Autore: Paola Loreto
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